L'antica città di Misenum doveva avere un tessuto sociale piuttosto urbanizzato con 4-5mila abitanti. Oltre al porto in cui sostava la Classis Praetoria Misenensis, la più importante flotta romana, vi erano tante altre strutture come il teatro, il foro, il sacello degli Augustali ed anche le terme. Un complesso termale che si staglia tra la montagna e l'odierna Via della Dragonara, in una proprietà privata da cui prende l'attuale nome: Terme di Cudemo (o, appunto, Terme della Dragonara). Un sito archeologico nell'odierna frazione del Comune di Bacoli non visibile dall'esterno e di non semplice analisi a causa della speculazione edilizia e dei fenomeni naturali che hanno nascosto parte dei suoi ambienti originari. All'estremità sud-ovest dell'impianto vi è la vicina cisterna romana cosiddetta Grotta della Dragonara.
Le Terme di Via Dragonara, meglio note come Terme di Cudemo (dal nome della proprietà privata in cui sono situate oggi), rappresentano un sito archeologico che a Miseno risulta nascosto tra il tessuto abitativo dell'odierna frazione del Comune di Bacoli, nei Campi Flegrei. Un complesso termale appartenente, un tempo, al contesto urbano dell'antica città di Misenum, in cui vi era presente la più importante flotta dell'Impero Romano, i cui resti oggi ricadono nel giardino di una proprietà privata, appunto della famiglia Cudemo, e sono sottoposti a vincolo. Esso si trova alle pendici dell'omonimo promontorio di Miseno, una superficie terrazzata che, a partire da una quota di 7 metri sul livello del mare, si dirama verso l'adiacente spiaggia. Un sito archeologico che oltre ad essere poco accessibile risulta anche di difficile comprensione dal punto di vista della forma originaria, la planimetria, l'orientamento e l'individuazione di tutte le fasi che ha attraversato, per le destinazioni d'uso e le decorazioni, a causa dei fenomeni naturali (come il bradisismo), la speculazione edilizia e la frammentarietà dei resti ritrovati.
Terme di Cudemo: testimonianza cartografica e ambienti visibili
L'individuazione delle cosiddette Terme di Miseno avviene grazie alla testimonianza cartografica di Mario Cartaro con una mappa dell'antica città di Misenum in cui sono evidenziati determinati edifici menzionati con una puntuale denominazione (carta oggi custodita presso l'Istituto di Storia Patria di Napoli, a Castelnuovo). Tra queste la Villa di Lucullo, ovvero i resti delle peschiere presenti nelle cavità tra la spiaggia e il mare, e, appunto, il complesso termale situato ai piedi della montagna. Un contributo importante arriva anche dalla carta realizzata da Paoli e redatta dall'ingegner Raiola nel 1768 (FIG. 1) in cui, in prossimità delle terme, si parla di "vestigi di graziosissimi bagni", con gli ambienti del sito perfettamente corrispondenti a quelli visibili oggi, sia nella forma che nelle misure. Si tratta di un complesso termale avente le seguenti misure: 75 palmi napoletani di lunghezza per 50 di larghezza (l'equivalente di 19 metri per 14). Tra i resti delle Terme di Cudemo, nonostante lo strato di detriti e sabbia che copre parte della pavimentazione e l'irregolarità delle pareti dovute alla corrosione del tempo e l'effetto degli agenti atmosferici, è possibile distinguere tre ambienti (FIG. 2): un calidarium (ambiente 1), un praefurnium (ambiente 2), un corridoio (ambiente 3) e un ambiente di servizio (ambiente 4). A questi si aggiungono i resti di almeno altri due vani solo parzialmente visibili da cui si deduce un orientamento dell'intero complesso verso nordo e/o ovest. Per questo motivo è facile intuire che la superficie che doveva occupare l'intera struttura termale doveva essere ben più ampia rispetto a quella attuale. Non solo: vista la mole di detriti e materiali di risulta presenti in diverse obliterazioni, è facile immaginare che la pianta originaria dell'intero impianto termale conti molti più ambienti di quelli visibili oggi.
Il Calidarium, l'ambiente più caldo delle Terme di Cudemo
Il primo ambiente che si incontra nel complesso termale di Cudemo è il calidarium, un ambiente riscaldato lungo 8,3 metri e largo 12,2, con un'ampia nicchia in prossimità della parete est (al cui interno vi sono i resti di una vasca in mattoni con rivestimenti in cocciopesto e lastre in marmo) e con il lato occidentale ricoperto di detriti e materiali di risulta (FIG. 3). Tre pareti su quattro, realizzate tutte in opera laterizia opus testaceum, sono quasi intatte mentre la copertura (quella ovest è obliterata da detriti), una volta a botte con grossi bipedali disposti a raggiera misti a laterizi, tenuti insieme da malta cementizia, è quasi totalmente crollata, salvo la parte che ricopre la nicchia. In prossimità della parete nord sono visibili due diversi accessi all'ambiente, gli unici presenti. Sulla parete sud vi è una piccola abside, la quale probabilmente ospitava una qualche statua. Una serie di fori di forma circolare avevano la funzione di smaltire i fumi prodotti dalle fornaci e diffusi attraverso suspensurae e concameratio presenti sotto il pavimento e lungo le pareti, con tubuli di terracotta che facilitavano la dispersione verso l'alto dei fumi. Tali suspensurae sono costituite da colonnine in bessali su cui si impostano i bipedali, i quali costituiscono la base del sovrastante pavimento. Negli ambienti riscaldati, come il calidarium, sono presenti anche grandi blocchi quadrangolari di piperno, i cosiddetti mensoloni, utili per sorreggere le controsoffittature a volta, la quale seguiva l'andamento della copertura esterna, creando una concameratio. All'interno del calidarium vi è anche traccia di piccolo un banchetto (lungo meno di un metro), costruito in laterizi ed altri materiali di reimpiego, su cui alcuni resti di argilla fanno pensare ad attività artigianali esercitate nel sito dopo la defunzionalizzazione delle terme. Il pavimento è coperto da uno strato di terra e muschio e solo in alcune porzioni sono ancora visibili lastre di marmo dalle quali è possibile intuire un disegno articolato tra lastre quadrangolari più piccole ed altre di più grandi dimensioni. Una cospicua abbondanza di resti marmorei fa pensare che non solo la pavimentazione ma anche le pareti ospitavano lastre decorative.
Il Praefurnium, l'ambiente utile per alimentare la caldaia delle Terme di Cudemo
Dopo il calidarium il secondo ambiente delle Terme di Miseno è il praefurnium, a cui in origine si accedeva attraverso quattro ingressi ad arco a tutto sesto, due sulla parete nord e due sulla parete sud (FIG. 4). I primi due davano accesso ad uno o più ambienti oggi non visibili, mentre gli altri due danno accesso al corridoio successivo. L'ambiente è di forma quadrangolare ed ha un piano di calpestio posto ad una quota più elevata rispetto a quella originaria, innalzamento dovuto oltre al bradisismo anche alla falda acquifera elevatasi nel tempo. In corrispondenza dell'arco sud-ovest vi è una piccola cisterna alimentata dalle fonti sorgive del vicino promontorio oggi coperta sotto uno strato di terra la quale, probabilmente, serviva ad alimentare la caldaia della fornace. A differenza del calidarium, il praefurnium conserva per intero la copertura con volta a botte, realizzata con mattoni in tufo, con un lucernaio presente al centro della parte sommitale, per fornire luce e ricambio dell'aria. Sulle parti est ed ovest della volta vi sono due condotti di forma circolare, costituiti da tubuli in terracotta, funzionali allo smaltimento dei fumi. Nella parte occidentale dell'ambiente vi sono i resti di una grande fornace a forma quadrangolare che garantiva aria e acqua calda al vicino calidarium. Nell'angolo sud-orientale, invece, vi sono i resti di due muri finalizzati a sostenere, probabilmente, un piano superiore realizzato successivamente così come una stuttura posta nell'angolo nord-occidentale del praefurnium in opus vittatum.
Tutti gli ambienti di servizio delle Terme di Cudemo
A collegare gli attigui calidarium e praefurnium delle Terme di Miseno, vi è un ambiente di servizio, un corridoio, di forma rettangolare (lungo 19 metri con larghezza variabile tra i 2,2 e i 2,8 metri), che si sviluppa in senso est-ovest occupando la parte meridionale della parte dell'edificio termale oggi visibile. Anche qui il piano di calpestio è sopra-elevato rispetto al livello originario, riempito da detriti e materiale sabbioso, mentre alcune pareti sono scavate nel tufo della montagna sfruttando l'acqua sorgiva del promontorio che alimenta anche la vicina Grotta della Dragonara. All'interno del corridoio vi sono diversi elementi architettonici come una grossa nicchia rettangolare posta sulla parete sud che si articola in due nicchiette, una esterna e una più interna, entrambe in opera laterizia e con arco a tutto sesto. Tale nicchia serviva, probabilmente, per la raccolta dell'acqua dalla falda. All'interno di essa i resti dell'alloggiamento di una fistula plumbea finalizzata sempre alla captazione di una falda acquifera. L'ultimo degli ambienti oggi visibili del complesso termale è un ulteriore ambiente di servizio di dimensioni più piccole (lungo 2,3 metri e largo 4,3) che conduceva verso l'esterno delle terme oppure verso un altro ambiente di cui è impossibile constatare l'esistenza a causa dei detriti che obliterano la parete ovest. L'eventuale presenza di un ulteriore ambiente potrebbe trovare conferma se fosse accertato che la nicchia ivi presente con una parete in opus vittatum fosse in realtà un varco d'accesso per un'altra stanza. Non è raro, infatti, che tutto intorno al calidarium si sviluppino vari ambienti di servizio tali da circondarlo. La volta di questo mini-ambiente è realizzata con malta cementizia mediante l'uso di centine lignee delineando una volta a botte stretta e lunga. Le pareti presentano resti di intonaco il cui colore è andato quasi completamente perduto.
Destinazione d'uso, rifunzionalizzazione e abbandono delle Terme di Cudemo
Non è possibile formulare ipotesi precise sulle origini delle Terme di Cudemo a causa della mancanza di scavi stratigrafici o di dati archeologici certi. Sicuramente il complesso termale ha cominciato a prender vita nell'ultimo quarto del I° secolo d.C., in seguito all'insediamento della flotta imperiale romana presso il porto di Miseno, poichè a quell'epoca fanno riferimento anche il foro, il teatro e il sacello degli Augustali. La destinazione d'uso, però, doveva essere aperta al pubblico e non ascritta soltanto alla flotta misenate, poichè in tale complesso termale sono state ravvisate similitudini con le terme pubbliche di Ostia. In merito alle origini della sua attività, sono due le ipotesi condotte dagli studiosi riflettendo sul contesto storico e l'area poco estesa dell'antica città di Misenum: il complesso termale potrebbe essere un ampliamento di una struttura già preesistente più piccola e divenuta insufficiente per soddisfare della popolazione misenate, oppure il complesso potrebbe essere sorto in luogo di un edificio preesistente destinato, però, ad altra funzione. Secondo alcuni (pochi) dati stratigrafici, il complesso avrebbe smesso di funzionare tra la fine del IV° e gli inizi del V° secolo. Un abbandono causato dal progressivo abbassamento del livello del suolo e quindi l'innalzamento della falda. Un oscillazione terminata nel VI° secolo consentendo la conversione dell'intero edificio passando da una struttura termale ad una prima attività artigianale. Infatti, dopo la caduta dell'Impero Romano, le Terme di Cudemo tornarono ad essere utilizzate dalla popolazione locale come testimoniano i resti di una fornace medievale nel praefurnium in cui vi era anche una seconda posta ad un livello più alto (2,7 metri) rispetto all'attuale piano di calpestio. La testimonianza di tale attività è data sia dai materiali di cui è composto il banchetto (l'argilla) trovato nel calidarium (FIG. 6), sia le anfore da asporto, tipiche di Miseno (FIG. 7). Ma dopo la cessazione della prima attività artigianale (presumibilmente, quindi, la lavorazione dell'argilla), la terma e l'area circostante vengono nuovamente abbandonate per un lungo periodo di tempo fino all'installazione di nuove fornaci, avvenuta presumibilmente tra l'XI° ed il XII° secolo, nel praefurnium a cui vanno attribuiti resti ceramici decorati a larghe bande. Tale attività poi sarebbe stata interrotta bruscamente da un crollo che ha segnato la fine dell'occupazione del complesso. In seguito ci sarebbero state solo sporadiche attività fino al XX° secolo in cui, secondo la testimonianza diretta degli abitanti del luogo, si è registrata piccola attività di rimessaggio di barche da pesca nel calidarium e di lavorazione della calce nel corridoio.
Terme di Cudemo: la planimetria originaria
Altra difficoltà legata allo studio delle Terme di Miseno sta nell'intuire la disposizione dei vari ambienti e la loro collocazione nella planimetria originaria. Difficoltà legate sempre alla mancanza di scavi stratigrafici, all'attività di erosione degli agenti atmosferici nel corso del tempo e il ritrovamento dei materiali all'interno in situ, i quali non tutti sono afferenti agli ambienti oggi visibili ma semplicemente messi lì successivamente. La disposizione degli ambienti potrebbe essere ad anello, in fila o di tipo imperiale (come suggerisce la classificazione fatta da Krencker, basata proprio sugli studi degli impianti termali italici), ma essa presenta dei tratti tipici di tutte le terme costruite a partire dal I° secolo d.C., ovvero la presenza in fila dei seguenti ambienti nel seguente ordine: frigidarium, tepidarium e calidarium. Avrebbe potuto variare il percorso (circolare, in fila o ad angolo) per arrivare all'ambiente più caldo (il calidarium), il numero o la grandezza dei vari ambienti, la qualità e la quantità delle decorazioni a determinarne lo sfarzo della struttura, ma tutti i complessi termali di quell'epoca, compreso quello di Miseno, dovevano essere contraddistinti da un unico e rigido canone costruttivo. Come detto, le Terme di Cudemo presentano quattro ambienti visibili (calidarium, praefurnium, corridoio e un altro di servizio), più altri due parzialmente visibili, ma considerando gli altri esempi di edifici termali di quel periodo, non andrebbe esclusa dalla planimetria originaria l'esistenza di altri ambienti come uno spogliatoio (apodyterium), palestre, giardini o sale di comunicazione.
Terme di Cudemo: tecniche costruttive e datazione esatta della struttura
Per risalire ad una più esatta datazione dell'intera struttura, in assenza di scavi stratigrafici, è possibile affidarsi alle tecniche costruttive. Nonostante le tecniche edilizie utilizzate siano molteplici, quella che riveste un ruolo preponderante è l'opus testaceum, la tecnica costruttiva che utilizza i laterizi. Tale tecnica è presente in diverse parti dell'edificio, in particolare su tutte e tre le pareti rimaste del calidarium. Ciò vuol dire che l'impianto termale di Miseno è datato sicuramente tra la fine del I° secolo e gli inizi del II° secolo d.C., quando la tecnica dell'opus testaceum si va affermando sempre più come tecnica privilegiata, anche se spesso in combinazione con l'opus reticolatum (opus mixtum). Ciò è testimoniato anche dal fatto che strutture come lo stadium costruito da Antonino Pio e il Tempio di Nettuno, due siti archeologici di Pozzuoli, costruiti con la tecnica dell'opus testaceum, spesso combinato con l'opus reticolatum (opus mixtum), ed entrambi datati intorno al 140 d.C. Il predominio dell'opus testaceum attraversò tutto il III° secolo per scemare, in ragione dell'opus vittatum, nel corso del IV° secolo.
Le decorazioni
La decorazione marmorea occupa un ruolo sempre più centrale nella decorazione delle pareti e dei pavimenti degli edifici termali costruiti a cavallo tra I° e II° secolo d.C come le terme di Miseno. Il complesso termale misenate, seppur di dimensioni più piccole rispetto alle terme imperiali di Roma, finì per subire le influenze e le novità dei modelli più grandi. I tipi di marmo riconosciuti tra le centinaia di frammenti di piccole e medie dimensioni presenti nelle terme, sono i seguenti: marmo africano, breccia di Settebassi, cipollino verde, fior di pesco, greco scritto, pavonazzetto e proconnesio. Alcuni di questi hanno una datazione storica differente: il fior di pesco, ad esempio, è di età severiana, mentre il marmo cipollino verde, quello più largamente utilizzato nel complesso misenate, è diffuso nel periodo precedente, l'età adrianea-antonina. Appare chiaro che la decorazione delle pareti e dei pavimenti abbia subito delle modifiche nel corso dei secoli. A supporto delle decorazioni marmoree delle pareti, la cui zoccolatura arrivava fino ad una certa altezza e non fin sotto la volta, in alcuni ambienti (come nel calidarium) vi sono degli elementi costruttivi più solidi, tubuli di terracotta o tegule mammatae, i quali presumibilmente sostenevano la concameratio interna. Le lastre marmoree non poggiavano direttamente sui tubuli o le tegulae ma veniva realizzato uno strato di malta con il duplice scopo di garantire un'aderenza ottimale delle lastre e colmare le irregolarità dei due supporti, sia in marmo che in terracotta, entrambi rigidi. Il fissaggio delle lastre e delle tegolae avveniva mediante grappe metalliche, delle quali restano ancora oggi visibili diverse tracce sulle pareti del calidarium.